martedì 12 gennaio 2016

Storia di Anna: mi scrive un'altra donna che teme di perdere l'affidamento della figlia

Ricevo e pubblico: è la lettera di un'altra donna che ha paura le sia sottratta la figlia.

Sono una mamma; per tutelare mia figlia non scriverò i nostri nomi, chiedo l'aiuto di tutte le Istituzioni e al vescovo di Ascoli Piceno. 
Per lavorare e mantenere dignitosamente la mia bambina di 3 anni, mi sono dovuta trasferire da Roma in un'altra città. Quando vivevamo a Roma, unitamente al mio ex compagno, quest'ultimo non ha mai partecipato alle spese inerenti il ménage familiare, né si è mai occupato della piccola, rifiutandosi di accompagnarci alle visite pediatriche e fisioterapiche. Nel momento in cui mi sono trovata a non percepire più uno stipendio il mio ex compagno ha continuato a non partecipare alle spese occorrenti per la nostra famiglia, e quindi ha ben pensato di andar via di casa, all' una del mattino, confessandomi di avere da tempo intrapreso un' altra relazione sentimentale. Dopo tre mesi circa ha tentato di rientrare in casa, ma al mio rifiuto mi ha trascinato al Tribunale di Roma, dichiarando su carta di essere un " padre amorevole ", ma nei fatti si comporta come sempre: non si preoccupa della bambina, difatti non la cerca neanche quando sta male, dichiarando che tanto c'è la tachipirina e che se occorresse portarla in ospedale tanto ce la porterei io (tutto ciò confermato dal mio ex compagno in udienza ). Premesso che io non ho messo limiti alle visite che il padre può fare alla figlia nè di giorni nè di orario, durante le feste non viene a trovarla neppure se cadono nei giorni di visita prestabiliti dal Tribunale e neanche le telefona. A Settembre 2015, dopo un anno e mezzo di disoccupazione, ho trovato un lavoro a Roma. Quest'occupazione potevo svolgerla durante l' orario scolastico di mia figlia, iscritta in una scuola privata a spese della sola mia famiglia, in modo da poterla seguire nella sua crescita. Il giorno prima dell' inserimento scolastico, il mio ex compagno mi ha comunicato di voler partecipare all' inserimento specificandomi che sarebbe stato meglio per la bambina vederci insieme in quell' occasione, ma la mattina seguente ha espresso il suo dissenso all' ingresso della piccola in aula. Il mancato accesso della bambina a scuola ha provocato in lei un trauma superato totalmente solo dopo aver intrapreso la scuola e la perdita del mio lavoro a Roma.

Conseguentemente ho trovato un lavoro a tempo indeterminato in un'altra città, ho acquistato una casa e da subito ho avvisato sia verbalmente sia tramite raccomandata con ricevuta di ritorno il mio ex compagno.
Successivamente solo dopo molto tempo dal mio trasferimento e durante l' udienza, il mio ex compagno ha richiesto il rientro a Roma della bambina, con la conseguenza che io perderei nuovamente il lavoro, unica fonte di reddito di mia figlia, e la mia piccolina non potrebbe più frequentare la scuola, dove si è ambientata benissimo. Il Tribunale di Roma dopo una sola udienza, in cui ha ascoltato solo me ed il mio ex compagno, senza svolgere istruttoria nè ascoltare i sommari informatori, ha deciso per il mio rientro affermando che se non ottempero all' ordine potrei perdere l' affido di mia figlia. Mia figlia non può perdere la scuola, nè l' opportunità di vivere in una città tranquilla che offre molto per i bambini. Io non posso perdere mia figlia, ma neppure il lavoro che mi occorre per mantenerla. Il diritto di visita del padre non viene leso, in quanto il mio ex compagno attualmente è ospitato in una casa a sole 2 ore di distanza dalla casa dove viviamo, ci tengo a sottolineare che siamo tornate a Roma i primi di Dicembre 2015 per l' udienza e siamo rimaste per 4 giorni ed il mio ex compagno è venuto a trovare nostra figlia un solo giorno per tre ore, da bravo " padre amorevole".

Nonostante l'ordine di rientro fosse per il 30 Dicembre 2015 io non sono tornata, rischiando che mi venga tolto l' affido di mia figlia,dato che a Roma non ho un lavoro e mia figlia non andrebbe a scuola.
Vi prego ad aiutarmi a divulgare la nostra storia: affinché le Istituzioni capiscano i problemi che stanno arrecando ad una bambina ed ad una madre.

venerdì 8 gennaio 2016

No Pas: un'altra lettera di una donna

Ricevo e pubblico e invito altre donne vittimizzate a scrivermi per denunciare una prassi che sta diventando consolidata, quella dell'allontanamento dei bambini e delle bambine da madri che hanno denunciato violenza familiare. Un problema che si deve cominciare a denunciare. Vi sarà garantito l'anonimato.

 Sono donna. Sono lavoratrice a tempo pieno. Pago le tasse. Ho una bella casa. Ho una bella famiglia unita e numerosa. Sono sana fisicamente e psicologicamente. Non bevo, non fumo, non mi drogo, mai avuto problemi con la legge.
Sono mamma.

Adoro mio figlio. Lo curo. Lo amo. Lo coccolo. Lo guido. Lo nutro. Lo lascio libero di fare esperienze. Lo rassicuro. Lo incoraggio. Lo ammiro. Lo proteggo. Lo rispetto. Voglio che cresca libero, forte, generoso, coraggioso, rispettoso del prossimo, circondato di amore e gioia.
Eppure mio figlio, di 5 anni, rischia ogni giorno di essere portato in una casa famiglia, lontano dai suoi affetti sicuri, lontano da me, dai nonni, gli zii, dalla scuola, dagli amici, dallo sport. Lontano da una vita che sia degna di questo nome. A mio figlio e alla mia famiglia nel 2013 è stata diagnosticata l’alienazione parentale da una CTU del Tribunale Ordinario della mia città. Aveva allora solo 3 anni. Sano, sereno, socievole, allegro, amato. L’alienazione parentale (ex PAS) non esiste. Non è riconosciuta come malattia in nessun manuale. Non lo dico io ma i medici. Eppure la CTU, neuropsichiatra infantile, gliel’ha affibbiata senza pietà e senza alcuno straccio di dato oggettivo a supporto. La CTU scrive che io rappresento al bambino un’immagine negativa del padre ed è per questo che il bambino non vuole stare da solo con lui. Mai indagato su comportamenti paterni.  Eppure avevo raccontato prima al Giudice e poi alla CTU stessa le violenze psicologiche che ho subito dal mio ex. L’isolamento. Le vessazioni. Gli insulti. Le prepotenze. Gli sputi. Le spinte. Le minacce verso di me. Le minacce perpetrate attraverso il bambino. La minaccia costante di portarmelo via perché mi avrebbe fatta passare per pazza. Gli ho raccontato che di questo bambino lui non si è mai occupato fin dalla nascita volutamente e che lo trattava da sempre come un oggetto inanimato.  Come trattava me. Oggetti da distruggere per nutrire il suo odio. Tutto programmato.
II Giudice prima e la CTU poi pur vedendomi per la prima volta e ignorando completamente la realtà dei fatti e le mie parole, mi hanno detto che io stavo arrecando un gravissimo danno a mio figlio, che il bambino sarebbe diventato gay o tossicodipendente perché questo accade ai bambini che non hanno un costante e continuativo rapporto col padre. Che da grande mi avrebbe odiato per quello che gli stavo facendo. Che ero io a fare violenza psicologica a mio figlio! Chiedo loro ”ma cosa gli sto facendo?”, sono io vittima di violenza domestica e mio figlio con me. Sto cercando di proteggerlo. Mi hanno risposto che quei racconti non erano racconti di violenze e che comunque il padre è sempre il padre e il padre può fare ciò che vuole. Mi hanno risposto che se avessi continuato con i miei comportamenti (quali però non lo dicono mai..) il bambino sarebbe finito in casa famiglia. Mi dicono che devo cambiare opinione sul padre di mio figlio e mio figlio la cambierà a sua volta (la colpevole sono già io, la condanna è già mia!). Vengo in buona sostanza MINACCIATA anche da chi dovrebbe tutelare donne e bambini e applicare la legge. Buio.
Riferisco il tutto ai miei CTP chiedendo aiuto per mio figlio. Mi dicono di tacere perché se la CTU viene a sapere queste cose mi toglie il bambino con una “bella accusa di Alienazione genitoriale” perché si sa che le accuse verso i padri durante la separazione sono tutte invenzioni di donne cattive e manipolatrici. Io non capisco. Mi sembra un incubo. Dove sta la legge, la tutela dei minori, delle donne vittime di violenza? Sto denunciando dei fatti gravi e nessuno ci aiuta anzi ci stanno lentamente massacrando.
Mi dicono “signora deve collaborare o perde suo figlio!” ma io sto già collaborando. Cosa devo fare ancora? Sono una brava mamma perché dovrei perderlo? Ho paura. Mi rivolgo alle forze dell’ordine varie volte. Tutto inutile. Se non hai le ossa spezzate o il sangue che sgorga a fiumi nessuno può intervenire (e anche in questo caso a questo punto ho dei dubbi…).
La CTU non ha mai incontrato la famiglia di lui eppure ha scritto al Giudice che è migliore della mia. La CTU non ha depositato in tribunale i test psicodiagnostici a cui ci fece sottoporre e dovrebbe farlo per legge per garantire il contradditorio mettendoli a disposizione delle parti e del Giudice stesso.
Cerco a quel punto di tenere duro. Di affrontarla questa CTU. Di dirle che stanno facendo un grave errore e stanno danneggiando il mio bambino. Mi dice, sfrontata e forte del suo potere e delle altre denunce ricevute e prontamente archiviate, che se non mi sta bene come è condotta la CTU non mi resta altro che denunciarla perché non decido io come si fa una CTU. Chiedo la ricusazione della CTU. Il giudice la respinge. La CTU è “tristemente famosa” per aver tolto i figli ad altre donne. Tutti sanno. Nessuno la ferma.
Relazionano di nuovo contro di me dicendo che io non agevolo il bambino e che sono ostile al padre (tutte congetture, falsità, opinioni personali). Sottolineano perfino se mi muovo o sto ferma fisicamente. Se rido o sono seria. Se parlo o taccio e se parlo cosa dico, perché e come. Il padre lo dipingono come un povero padre disperato e mia vittima. Non fa il padre in nessun modo ma la colpa è mia non sua! Il bambino viene trattato e dipinto come un povero psicopatico da curare (mai sentiti pediatra, maestre, amici, parenti e perfino la psicologa della ASL che aveva già detto mesi prima che il bambino stava benissimo psicologicamente anzi che è un bambino molto intelligente, educato e meraviglioso).
Chiedo aiuto a chiunque. Non arriva. L’avvocato si affligge con me. Non c’è legge che tenga di fronte a queste cose. Presenta ricorsi, prove, documenti, certificati medici, cartelle cliniche, denunce. Nulla. Veniamo ignorati. Conta solo la CTU che nessuno mai metterà in discussione neppure tra 100 anni. Conta il padre. NON IL BAMBINO.
La violenza domestica diventa per tutti loro “esperti in materia” CONFLITTUALITA’ e ovviamente la più conflittuale sono io perché voglio piegarmi alle loro minacce e non metto mio figlio in pasto ai leoni in silenzio come vorrebbero loro.
La Corte d’Appello ovviamente rigetta il mio ricorso basandosi di nuovo solo su quella CTU e quindi sull’alienazione genitoriale e sulle relazioni dello spazio neutro zeppe di falsità, calunnie. Mi descrivono come un’arpia, una manipolatrice di menti, l’artefice della rovina di mio figlio. Non c’è scampo. Il bambino, scrivono, sarebbe immediatamente destinato ad una casa famiglia (per il resettaggio tipico della cura stabilita dai fautori della PAS) e poi affidato in via esclusiva al padre ma si “salva”, ci salviamo, perché ha problemi di salute.
I servizi sociali, scrive la Corte, devono tempestivamente comunicare alla Procura presso il Tribunale dei Minorenni ogni comportamento pregiudizievole tenuto dai genitori (si sono vergognati di scrivere “dalla madre , fanno vedere che sono equi) per procedere con provvedimenti più severi (di più????) ed eventualmente togliere la potestà genitoriale. Accidenti, nemmeno le madri omicide perdono la potestà genitoriale e il diritto di vedere i figli eppure io rischio questo ogni giorno con la fedina penale assolutamente intonsa e comportamenti assolutamente da persona normale e civile…Curioso Paese il nostro!
Sono quasi 3 anni che siamo in questa ragnatela assurda. Lottiamo contro i mulini a vento. La nostra vita è devastata. Non c’è più pace. Vivo nel terrore che una parola dei servizi sociali possa mettere mio figlio in pericolo come in effetti già è accaduto e accade continuamente.
Quella abominevole sentenza sta li. Scritta nero su bianco. Definitiva. Un’onta. Una condanna. Il padre di mio figlio la porta ovunque come un trofeo. E’ colpa della madre. Già… è tutta colpa della madre. È scritto vedete? Quale danno ci hanno fatto? È incalcolabile. Mi hanno tolto la gioia di veder crescere mio figlio perché in un attimo vorrei essere nell’anno in cui lui ne compirà 18 e sarà libero da questi mostri!
Oggi lotto ogni santo giorno affinché questo scempio finisca. Sopravvivo al dolore e alla paura.
La cosiddetta PAS (o come volete chiamarla) patologia inesistente continua ad essere applicata nei tribunale in barba alla stessa scienza, è la nuova santa inquisizione contro le donne, tortura e  uccide lentamente. Qualcuno per favore può aiutarci? Grazie!

Una mamma